Concili e confessioni di fede
Tutte le formule di fede ortodosse, i testi liturgici e le asserzioni dottrinali dichiarano che la Chiesa Ortodossa ha conservato l'originale fede apostolica, espressa pure nella comune tradizione cristiana dei primi secoli. La Chiesa Ortodossa riconosce come ecumenici i sette concili di Nicea I (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (681), e Nicea II (787). Vengono pure considerate le delibere di altri Concili più recenti in quanto riflettono la stessa originale fede (ad esempio i concili tenutisi a Costantinopoli che hanno approvato la teologia di San Gregorio Palamas nel XIV secolo). Così la Chiesa si riconosce come portatrice di una ininterrotta vivente tradizione, dell'autentico Cristianesimo espresso nel culto, nelle vite dei santi e nella fede del popolo di Dio.Nel XVII secolo come controparte alle varie "confessioni" della Riforma, si formularono diverse "confessioni Ortodosse" espresse in concili locali ma, di fatto, espressione di singoli autori (ad es. Mitrophane Critopoulos, 1625; Pietro Mogila, 1638; Dositheos di Gerusalemme, 1672). Oggi non si riconosce alcuna particolare importanza storica a queste confessioni. Quando il teologo ortodosso esprime la fede della sua Chiesa piuttosto di aderire ad un costante conformismo con alcune di queste particolari confessioni, cerca, piuttosto, la consistenza delle sue affermazioni con le Sacre Scritture e la Tradizione, com'è stata espressa negli antichi Concili, tra i Padri, e nell'ininterrotta vita liturgica. Se tale tradizione è conservata non ha timore di affermare qualcosa di apparentemente nuovo.Una peculiare caratteristica di quest'atteggiamento verso la fede è l'assenza della preoccupazione di stabilire dei criteri esterni e oggettivi di verità come sono cominciati ad esistere presso il pensiero cristiano occidentale a partire dal basso Medioevo. La verità appare come un'esperienza vivente ed accessibile nella comunione della Chiesa. Essa è normalmente espressa dalle Sacre Scritture, dai Concili, e dalla teologia. Pure i Concili ecumenici, nella prospettiva Ortodossa, hanno bisogno di essere ricevuti e "convalidati" dal corpo della chiesa per essere veramente riconosciuti come tali. Ultimamente, perciò, la verità è vista con un suo proprio criterio: ci sono dei segni che la dimostrano ma nessuno di questi si sostituisce ad una libera e personale esperienza della verità, resa possibile nella prassi sacramentale della Chiesa.A causa di questa visione della verità, il cristiano ortodosso è tradizionalmente riluttante a coinvolgere le autorità della Chiesa nel definire delle materie di fede in forma precisa e dettagliata. Questa riluttanza non è dovuta a relativismo o indifferenza quanto, piuttosto, alla convinzione che la verità non ha bisogno di definizione essendo oggetto di esperienza. Perciò ogni legittima definizione, quando viene fatta, dovrebbe mirare principalmente a escludere l'errore e non a fingere di rivelare la verità dal momento che essa è sempre creduta e pienamente vissuta nella Chiesa.
Dio e l'uomoLe dottrine concernenti la Trinità e l'incarnazione, durante i primi otto secoli della storia del cristianesimo, sono state strettamente collegate al concetto di partecipazione dell'uomo alla vita divina.I Padri greci della Chiesa hanno sempre spiegato che la frase "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gen 1, 26), rinvenibile nella storia biblica della creazione dell'uomo, significa che quest'ultimo non è un un essere autonomo e che la sua definitiva natura è rivelata dalla sua relazione con Dio, suo "prototipo". In paradiso Adamo ed Eva furono chiamati a partecipare alla vita di Dio e a trovare in Lui la crescita naturale della loro umanità per passare "da gloria in gloria". Essere "in Dio" è, perciò, lo stato naturale dell'uomo. Questa dottrina è particolarmente importante in relazione all'opinione patristica della libertà umana. Per teologi come Gregorio di Nissa (IV secolo) e Massimo il Confessore (VII secolo) l'uomo è veramente libero solo quando è in comunione con Dio; altrimenti è solo schiavo del suo corpo o del "mondo" al di sopra dei quali, originalmente e per comando divino, era stato destinato a dominare.Così, il concetto di peccato implica la separazione da Dio e la riduzione dell'uomo ad un'esistenza separata ed autonoma, nella quale egli è privato sia della sua naturale gloria che della sua libertà. In questa condizione l'uomo diviene un elemento sottoposto al determinismo cosmico e l'immagine di Dio in lui è distorta.La libertà in Dio, com'era goduta da Adamo, implica la possibilità di allontanarsi da Dio. Questa scelta sfortunata è stata compiuta dall'uomo e ha condotto Adamo (prototypos dell'uomo oramai decaduto) ad un'esistenza subumana e innaturale. L'aspetto più innaturale del nuovo stato è la morte. In questa prospettiva il "peccato originale" non è compreso come uno stato di colpa ereditato da Adamo ma come una condizione innaturale della vita umana che finisce nella morte. La mortalità è quello che ora eredita ciascun uomo dalla sua nascita e questo è quanto lo fa lottare per vivere, per auto-affermarsi a spese di altri, e, finalmente, per sottomettersi alle leggi di vita animale. Il "principe di questo mondo" (cioè Satana), Colui che fu l' "assassino dall'inizio," esercita il suo dominio sull'uomo. L'uomo è stato liberato da questo cerchio vizioso di morte e peccato dalla morte e Risurrezione di Cristo, che viene infusa nel Battesimo e nella vita sacramentale nella Chiesa.Il quadro generale della comprensione delle relazioni tra Dio e l'uomo è evidentemente diverso rispetto da quello che s'è imposto nel Cristianesimo occidentale. In Occidente s'è imposta una visione per cui la "natura" è distinta dalla "grazia" e il peccato originale consiste in una colpa ereditata invece della privazione della libertà originale. In Oriente, l'uomo è pienamente tale quando partecipa in Dio; in Occidente si pensa che la natura decaduta dell'uomo possa essere autonoma, mentre il peccato è visto come un crimine punibile e la grazia come un perdono accordato. Con questi presupposti giuridici ne consegue che lo scopo principale dell'Occidente cristiano è la giustificazione, mentre nell'Oriente è la comunione con Dio che porta alla deificazione dell'uomo. In Occidente la Chiesa è concepita in termini di mediazione (attraverso di lei giunge la grazia) e di autorità (è garante della giusta dottrina); mentre in Oriente la Chiesa è quella realtà nella quale avviene la comunione tra Dio e l'uomo, dove quest'ultimo ha modo d'incontrare Dio e di giungere ad una vera e possibile esperienza personale della vita divina in lui.
CristoLa Chiesa Ortodossa è la formale artefice della cristologia (= la dottrina su Cristo) definita dai Concili dei primi otto secoli. Insieme con la sua parte occidentale latina (il Patriarcato di Roma), ha rigettato l'arianesimo (che riteneva il Figlio una creatura rispetto al Padre) a Nicea (325), il nestorianesimo (che accentuava l'indipendenza tra la natura divina e quella umana di Cristo) a Efeso (431) e il monofisismo (che vedeva in Cristo solo la natura divina) a Calcedonia (451). Oriente e Occidente cristiano, sotto la formale tradizione cristologica, aggiunsero ulteriori considerazioni, sebbene la famosa formula calcedonese "una persona in due nature" non venisse dappertutto intesa allo stesso modo. Sulle icone romano-bizantine sono spesso dipinte attorno al volto di Cristo, delle lettere greche che equivalgono al tetragramma ebreo YHWH, nome di Dio nell'antico Testamento. In tal modo Gesù Cristo è visto nella sua identità divina. Similmente, la liturgia si rivolge spesso alla Vergine Maria come Theotokos (= Colei che ha dato nascita a Dio), e questo termine è stato ammesso come formalmente ortodosso a Efeso. Questo è l'unico dogma concernente la Santissima Genitrice di Dio accettato dalla Chiesa Ortodossa e riflette la dottrina sulla persona divina di Cristo contro Ario che la negava. La Theotokos viene così venerata perché è madre "secondo la carne" di Cristo Dio-Uomo. Tuttavia quest'enfasi sull'identità divina personale di Cristo, basata sulla dottrina di San Cirillo d'Alessandria (V secolo), non implica il rifiuto della sua umanità. L'antropologia (= la dottrina sull'uomo) dei Padri orientali non rappresenta l'uomo come un essere autonomo ma piuttosto implica quella comunione con Dio che rende l'uomo pienamente umano. Così la natura umana di Gesù Cristo, pienamente assunta dalla Parola divina (Logos), è davvero il "nuovo Adamo" nel quale tutta l'umanità riceve nuovamente la sua originale gloria. L'umanità di Cristo è pienamente "nostra"; Egli ha posseduto tutte le caratteristiche dell'essere umano. Seguendo papa Leone, il Concilio calcedonese ha proclamato a tal proposito: "Ciascuna natura (di Cristo) agisce secondo le sue proprietà senza separare se stessa dalla Parola divina [cioé dal Logos, ossia dalla persona del Figlio]". Così, la morte stessa di Cristo fu davvero una morte pienamente umana e il Figlio di Dio fu "soggetto" alla Passione. Ciò ha implicato che l'umanità di Cristo fosse davvero reale non solo per Lui ma anche per Dio, dal momento che è stato condotto a morire sulla croce, e che la salvezza e la redenzione dell'umanità potesse essere compiuta unicamente da Dio. Questo spiega la necessità divina di accondiscendere alla morte dal momento che la morte stessa ha tenuto prigioniera l'umanità.Questa teologia della redenzione e della salvezza è splendidamente espressa negli inni liturgici romano-bizantini della Settimana Santa e di Pasqua: Cristo è Colui che "ha calpestato la morte con la morte" e, la sera del Grande Venerdì (precedente la Pasqua), gl'inni liturgici cantano già vittoria. La salvezza non è concepita nei termini di una soddisfazione della giustizia divina, stabilita dal pagamento di un debito per il peccato di Adamo (come la Cristianità occidentale ha compreso ed espresso a partire dal Medioevo) ma nei termini di un'unione dell'umano con la divina vittoria della mortalità e della debolezza umana e, finalmente, esaltando l'uomo nella vita divina.Quello che Cristo ha compiuto una volta per tutte deve essere liberamente acquisito da coloro che sono "in Cristo"; il loro fine è la "deificazione" che non significa disumanizzazione ma esaltazione della dignità umana preparata per l'uomo prima della creazione. Le feste liturgiche della Trasfigurazione e dell'Ascensione sono estremamente popolari in Oriente perché celebrano precisamente l'umanità glorificata in Cristo, una glorificazione che anticipa la venuta del Regno di Dio quando Dio sarà "tutto in tutti".La partecipazione nella già deificata umanità di Cristo è la vera meta della vita cristiana, ed è compiuta attraverso lo Spirito Santo.
Lo Spirito SantoIl dono dello Spirito Santo "ha chiamato tutti gli uomini all'unità", secondo l'inno liturgico romano-bizantino della festa di Pentecoste; in quella nuova unità che San Paolo denomina il "Corpo di Cristo" nel quale entra ogni cristiano con il Battesimo e il Crisma (= la Cresima per il Cristianesimo occidentale) quando il prete unge il neofita dicendo: "Sigillo del dono dello Spirito Santo".Questo dono, comunque, richiede dall'uomo una libera risposta. I santi ortodossi come San Seraphim di Sarov (morto nel 1833) hanno descritto l'intero contenuto della vita cristiana nei termini di una "raccolta dello Spirito Santo". Lo Spirito Santo è così concepito come l'agente principale del rinnovamento dell'uomo; è Colui che, con il concorso delle altre persone trinitarie, ripristina l'originale stato naturale dell'uomo attraverso la comunione nel Corpo di Cristo. Questo ruolo dello Spirito è riflesso in una ricca varietà di atti liturgici e sacramentali. Ogni atto di culto inizia solitamente con una preghiera indirizzata allo Spirito, e tutti i Sacramenti si amministrano invocando lo stesso Spirito. Le liturgie eucaristiche dell'Oriente attribuiscono la causa della misteriosa presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrato per opera dello Spirito Santo. Il significato di quest'invocazione (epiklesis, in greco) è stato dibattuto appassionatamente tra i cristiani orientali e quelli latini nel Medioevo. Dal momento che il canone romano della Messa non riporta una chiaro riferimento allo Spirito Santo, ciò è stato considerato come insufficiente per operare il Sacramento dell'Eucarestia.A partire dal Concilio costantinopolitano del 381, che ha condannato i pneumatomachi (coloro che combattevano contro lo Spirito), nessuno nell'Oriente ortodosso ha più negato che lo Spirito non è solo un "dono" ma è pure il donatore, ossia, la terza Persona della Santa Trinità. Nel passo di Gen 1,2 i Padri greci vedevano un chiaro segno della cooperazione dello Spirito nell'atto divino della creazione; è stato pure riconosciuto il ruolo attivo dello Spirito in quella "nuova creazione" iniziata nell'utero della Vergine Maria al momento del concepimento di Cristo (Lc 1,35) . Finalmente, nella Pentecoste lo Spirito è stato compreso come Colui che anticipa gli "ultimi giorni" (Atti 2, 17) quando, alla fine della storia, sarà raggiunta una comunione universale con Dio. In tal modo, tutti gli atti decisivi di Dio sono compiuti "dal Padre nel Figlio, attraverso lo Spirito Santo".
La Santa Trinità
Dal IV secolo in poi s'è sviluppato un modo diverso nell'intendere e spiegare la Santa Trinità. Alcuni cristiani occidentali, non comprendendo bene i termini del dibattito trinitario (che allora si svolgeva prevalentemente in greco) cercarono di comprendere e spiegare la Santa Trinità come meglio potevano per difendere l'Ortodossia rivelata dagli attacchi eretici che la minavano. In Occidente l'unità di Dio è stata capita in termini di un'essenza (come d'altra parte era stato più volte affermato in Oriente) e il discorso si arrestava su questo punto. In Oriente, invece, si affermava sempre più frequentemente che l'unico Dio si rapporta con l'uomo che ne fa esperienza in termini energetici (le energie divine). Per la maggior parte dei Padri greci non era la Trinità ad aver bisogno di una prova teologica (i vangeli ne parlano chiaramente) quanto piuttosto l'unità essenziale di Dio. I Padri cappadoci (Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo e Basilio di Cesarea) per aver particolarmente insistito sull'esistenza delle persone trinitarie sono stati mal compresi e accusati di triteismo. Essi esprimevano il mistero trinitario come un'essenza in tre ipostasi (il termine greco hypostasis equivaleva in un primo tempo a quello latino di substantia e designava una realtà concreta. Di qui la confusione e la difficile comprensione tra alcuni padri latini con le definizioni patristiche greche). I teologi greci per hypostasis non intendevano substantia (cioè ousia) ma le persone trinitarie rivelate nel Nuovo Testamento: il Figlio e lo Spirito Santo, esseri distinti dal Padre.
Oggi alcuni teologi ortodossi, partendo da presupposti filosofici moderni, si soffermano a considerare le persone divine e parlano d'un "rapporto personalistico in Dio". Essi dichiarano d'aver scoperto un originale personalismo biblico, non adulterato nel suo contenuto da una speculazione filosofica posteriore. In essi, tuttavia, è carente una vera conoscenza patristica sicché, nel lodevole tentativo di comunicare il Credo ortodosso e patristico al mondo moderno, finiscono per divenire succubi di categorie filosofiche secolarizzate lontane dal modo di essere e pensare dei Padri.
Le difficoltà di comprensione teologica tra Oriente e Occidente, dovute come abbiamo visto anche da un diverso significato sotteso ai termini utilizzati, sono alla radice della famosa disputa sul Filioque. La parola latina Filioque ("e dal Figlio") è stata aggiunta al Credo in Spagna nel VI secolo. L'aggiunta in questo contesto non aveva alcun risvolto polemico e politico contro i fratelli della stessa fede, anzi, voleva assolutamente rimarcare la comunione con quanto i Concili orientali avevano affermato. L'incomprensione dei termini usati suggeriva di aggiungere la parola Filioque per salvaguardare la divinità del Figlio di fronte all'eresia adozionista che la negava. Più tardi, comunque, la questione fu ripresa dai teologi franchi sobillati da Carlomagno (IX sec.) per dei motivi sostanzialmente politici. Carlomagno, eletto a capo del Sacro Romano Impero, voleva affermare il suo legittimo dominio in Occidente e cercava ripetutamente di negare la legittimità dell'imperatore romano orientale. A tal fine si servì della questione teologica per ingaggiare una vera e propria battaglia anti-greca. L'addizione al Credo è stata rifiutata costantemente dai papi romani per dei motivi dogmatici (essi da soli non potevano né aggiungere né modificare alcunché al patrimonio di fede dell'unica Chiesa) e politici (era evidente che sotto il pretesto teologico si agitassero questioni politiche e di rottura tra Occidente e Oriente romano, cosa che i papi non potevano assolutamente accettare). Quando tra l'XI e il XII sec. Roma fu invasa dai tedeschi, essi imposero forzatamente un papa della loro etnìa a loro obbediente e debitore. Egli inserì l'addizione Filioque al Credo rifiutata dai suoi predecessori romani. Tale variazione ha fondato e giustificato una concezione occidentale della Trinità che, se non si fosse imposto un isolamento politico tra il mondo occidentale e quello orientale, avrebbe trovato la possibilità d'una correzione prima che si fissasse dogmaticamente. Nella concezione occidentale trinitaria il Padre e il Figlio sono causa dell'esistenza dello Spirito Santo.
I teologi romano-bizantini si sono opposti a tale aggiunta per diversi motivi. Prima di tutto perché, coerentemente con l'ecclesiologia del primo millennio (alla quale era fedele anche papa Leone III), il Patriarcato di Roma non aveva alcun diritto a cambiare unilateralmente un testo approvato coralmente da tutta la Chiesa. In secondo luogo perché la clausola del Filioque implicava la riduzione delle persone divine a semplici relazioni (il Padre e il Figlio sono entrambi in relazione tra loro ma unici in relazione allo Spirito). Per la teologia ortodossa e patristica il Padre è l'unico ad originare sia il Figlio che lo Spirito. Il Patriarca San Fozio (IX secolo) fu il primo teologo ortodosso a dibattere esplicitamente contro il concetto del Filioque e tale dibattito continuò polemicamente per tutto il Medioevo.
La trascendenza di Dio
Un importante elemento nel Cristianesimo indiviso ortodosso è la comprensione di Dio come totalmente trascendente e inconoscibile nella sua essenza. Perciò Dio può essere designato solo con attributi negativi: è possibile dire di Dio solo ciò che non è, non ciò che è.La teologia ortodossa puramente "apofatica" (= negativa, che procede per negazioni) applicabile unicamente all'essenza divina, non conduce all'agnosticismo perchè Dio si rivela pienamente relazionandosi con il cosmo e le creature non in termini personali (come Padre, Figlio e Spirito) ma nei suoi atti o "energie". Così la vera conoscenza di Dio include tre elementi: reverenziale timore religioso; incontro personale tra l'uomo e la presenza energetica di Dio; conseguente partecipazione agli atti, o energie, che Dio diffonde liberamente nella creazione.Questa concezione di Dio non è connessa alla personalistica comprensione del Trinità, come ritiene una certa teologia moderna dal momento che le Persone trinitarie, per i Padri, sono delle distinzioni all'interno della Trinità incomunicabili tra di loro e al mondo esterno a loro. Le persone comunicano solo attraverso la loro comune sostanza-energia. Tale prospettiva ha condotto a confermare ufficialmente la teologia di San Gregorio Palamas, esponente di spicco tra gli esicasti romano-bizantini (= monaci dedicati a praticare un'incessante preghiera nella quiete). La conferma di questa dottrina da parte della Chiesa ortodossa è avvenuta nei Concili costantinopolitani del 1341 e del 1351. I Concili hanno solennemente proclamato una reale distinzione in Dio, tra l'essenza inconoscibile e gli atti, o "energie", che rendono possibile una reale comunione con Dio. La deificazione dell'uomo, realizzata in Cristo una volta per tutte, è compiuta, così, nella comunione con l'energia divina e nell'umanità glorificata di Cristo.
Apporti teologici moderni
Fino alla sua conquista da parte dei Turchi (1453), Costantinopoli era il centro intellettuale incontestato della Chiesa Ortodossa. Lungi dall'essere monolitico, il pensiero teologico romano-bizantino fu influenzato da una corrente umanistica che favoriva l'utlizzo della filosofia greca nel modo teologico di pensare, e dalla teologia mistica più austera e classica dei circoli monastici. La preoccupazione per la conservazione della cultura greca e per la salvezza politica dell'Impero ha condotto diversi umanisti ad adottare una posizione favorevole all'unione con l'Occidente. I teologi più creativi (come ad es., Simeone il Nuovo Teologo, morto nel 1033; San Gregorio Palamas, morto nel 1359; Nicola Cabasilas, morto nel 1390) si sono piuttosto fondati nella parte monastica e hanno continuato la tradizione della spiritualità patristica basata sulla teologia della deificazione.
I secoli XVI-XVII-XVIII contrassegnano un periodo oscuro nella teologia ortodossa. Né in Medio Oriente, né nei Balcani, né in Russia emerse qualche nome o qualche teologo particolarmente significativo. Non era possibile e accessibile alcuna formale istruzione teologica, eccettuata quella che poteva venire dalle scuole cattolico-romane occidentali o da quelle protestanti. La tradizione ortodossa era primariamente conservata attraverso la liturgia, che esprimeva tutta la ricchezza patristica e spesso serviva da valido sostituto per un'istruzione formale. Asserzioni dottrinali di questo periodo, venivano emesse da Concili locali e da individuali teologi che si esprimevano in polemici documenti diretti contro l'aggressiva opera missionaria occidentale
Dopo le riforme di Pietro il Grande (morto nel 1725), si organizzò in Russia un sistema scolastico teologico. Plasmato originalmente secondo i modelli latini Occidentali, tale sistema era fornito di insegnanti gesuiti ucraini. La scuola sviluppata nel XIX secolo era pienamente indipendente e forniva potenti mezzi d'istruzione teologica. L'impostazione intellettualistica occidentale contrastava, però, con l'identità profonda dell'Ortodossia che, prima di toccare l'intelletto e di esercitare in dissertazioni filosofiche richiedeva la prassi ascetica. La fioritura dell'esicasmo russo avenne per opera di Paisios Velitchkovsky di Moldavia (morto nel 1817) e dei suoi discepoli. Essi tornarono a fornire alla Russia quei mezzi che l'Ortodossia aveva sempre ritenuto indispensabili per una vera attività teologica. I secoli XIX e XX hanno prodotto molti studiosi, specialmente nel campo storico (ad es., Philaret Drozdov, morto nel 1867; V.O. Klyuchevsky, morto nel 1913; V.V. Bolotov, morto nel 1900; E.E. Golubinsky, morto nel 1912; N.N. Glubokovsky, morto nel 1937). Indipendenteménte delle scuole teologiche ufficiali una discreta quantità di laici sono stati alla base di vere e proprie correnti teologiche e filosofiche e hanno esercitato (con risultati più o meno positivi) una grande influenza nella moderna teologia ortodossa (ad es. A.S. Khomyakov, morto 1860; V.S. Solovyev, morto 1900; N. Berdyayev, morto 1948). Alcuni di essi sono divenuti preti (P. Florensky, morto nel 1943; S. Bulgakov, morto nel 1944). Un gran numero dell'intelligentzia teologica russa (ad es. S. Bulgakov, G. Florovsky) è emigrata nell'Europa occidentale dopo la Rivoluzione russa (1917) e ha giocato un ruolo importante nel movimento ecumenico.
Con l'indipendenza dei Balcani dalla turcocrazia sono state create delle scuole teologiche anche in Grecia, Serbia, Bulgaria e Romania. Moderni studiosi greci hanno pubblicazione importanti testi ecclesiastici romano-bizantini e scritto molti manuali teologici.
La diaspora ortodossa (il flusso migratorio delle popolazioni del Medio Oriente e dell'Europa Orientale) nel XX secolo ha contribuito all'instaurarsi di uno sviluppo teologico in centri teologici situati in Europa Occidentale e in America.
La Chiesa Ortodossa ha reagito negativamente ai nuovi dogmi proclamati da papa Pio IX: l'Immacolata Concezione della SS. Vergine Maria (1854) e l'infallibilità papale (1870). Riguardo al dogma dell'Assunzione in Cielo della SS. Vergine Maria, proclamato da papa Pio XII (1950), le obiezioni toccavano principalmente la non opportunità di elevare a dogma questo tipo di tradizione.
In contrasto con la recente moda generale del pensiero occidentale cristiano che sottolinea molto l'impegno sociale, i teologi ortodossi sottolineano generalmente che la fede cristiana è primariamente un'esperienza diretta del Regno di Dio, dono sacramentale che avviene nella chiesa. Senza negare che i cristiani hanno una responsabilità sociale nel mondo, considerano questa responsabilità come una conseguenza della vita in Cristo. Questa posizione tradizionale è testimoniata dalla straordinaria sopravvivenza delle Chiese Ortodosse sotto le più contraddittorie e sfavorevoli condizioni sociali. Tuttavia, agli occhi occidentali, tutto ciò appare come una forma di passivo fatalismo.
Tutte le formule di fede ortodosse, i testi liturgici e le asserzioni dottrinali dichiarano che la Chiesa Ortodossa ha conservato l'originale fede apostolica, espressa pure nella comune tradizione cristiana dei primi secoli. La Chiesa Ortodossa riconosce come ecumenici i sette concili di Nicea I (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (681), e Nicea II (787). Vengono pure considerate le delibere di altri Concili più recenti in quanto riflettono la stessa originale fede (ad esempio i concili tenutisi a Costantinopoli che hanno approvato la teologia di San Gregorio Palamas nel XIV secolo). Così la Chiesa si riconosce come portatrice di una ininterrotta vivente tradizione, dell'autentico Cristianesimo espresso nel culto, nelle vite dei santi e nella fede del popolo di Dio.Nel XVII secolo come controparte alle varie "confessioni" della Riforma, si formularono diverse "confessioni Ortodosse" espresse in concili locali ma, di fatto, espressione di singoli autori (ad es. Mitrophane Critopoulos, 1625; Pietro Mogila, 1638; Dositheos di Gerusalemme, 1672). Oggi non si riconosce alcuna particolare importanza storica a queste confessioni. Quando il teologo ortodosso esprime la fede della sua Chiesa piuttosto di aderire ad un costante conformismo con alcune di queste particolari confessioni, cerca, piuttosto, la consistenza delle sue affermazioni con le Sacre Scritture e la Tradizione, com'è stata espressa negli antichi Concili, tra i Padri, e nell'ininterrotta vita liturgica. Se tale tradizione è conservata non ha timore di affermare qualcosa di apparentemente nuovo.Una peculiare caratteristica di quest'atteggiamento verso la fede è l'assenza della preoccupazione di stabilire dei criteri esterni e oggettivi di verità come sono cominciati ad esistere presso il pensiero cristiano occidentale a partire dal basso Medioevo. La verità appare come un'esperienza vivente ed accessibile nella comunione della Chiesa. Essa è normalmente espressa dalle Sacre Scritture, dai Concili, e dalla teologia. Pure i Concili ecumenici, nella prospettiva Ortodossa, hanno bisogno di essere ricevuti e "convalidati" dal corpo della chiesa per essere veramente riconosciuti come tali. Ultimamente, perciò, la verità è vista con un suo proprio criterio: ci sono dei segni che la dimostrano ma nessuno di questi si sostituisce ad una libera e personale esperienza della verità, resa possibile nella prassi sacramentale della Chiesa.A causa di questa visione della verità, il cristiano ortodosso è tradizionalmente riluttante a coinvolgere le autorità della Chiesa nel definire delle materie di fede in forma precisa e dettagliata. Questa riluttanza non è dovuta a relativismo o indifferenza quanto, piuttosto, alla convinzione che la verità non ha bisogno di definizione essendo oggetto di esperienza. Perciò ogni legittima definizione, quando viene fatta, dovrebbe mirare principalmente a escludere l'errore e non a fingere di rivelare la verità dal momento che essa è sempre creduta e pienamente vissuta nella Chiesa.
Dio e l'uomoLe dottrine concernenti la Trinità e l'incarnazione, durante i primi otto secoli della storia del cristianesimo, sono state strettamente collegate al concetto di partecipazione dell'uomo alla vita divina.I Padri greci della Chiesa hanno sempre spiegato che la frase "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gen 1, 26), rinvenibile nella storia biblica della creazione dell'uomo, significa che quest'ultimo non è un un essere autonomo e che la sua definitiva natura è rivelata dalla sua relazione con Dio, suo "prototipo". In paradiso Adamo ed Eva furono chiamati a partecipare alla vita di Dio e a trovare in Lui la crescita naturale della loro umanità per passare "da gloria in gloria". Essere "in Dio" è, perciò, lo stato naturale dell'uomo. Questa dottrina è particolarmente importante in relazione all'opinione patristica della libertà umana. Per teologi come Gregorio di Nissa (IV secolo) e Massimo il Confessore (VII secolo) l'uomo è veramente libero solo quando è in comunione con Dio; altrimenti è solo schiavo del suo corpo o del "mondo" al di sopra dei quali, originalmente e per comando divino, era stato destinato a dominare.Così, il concetto di peccato implica la separazione da Dio e la riduzione dell'uomo ad un'esistenza separata ed autonoma, nella quale egli è privato sia della sua naturale gloria che della sua libertà. In questa condizione l'uomo diviene un elemento sottoposto al determinismo cosmico e l'immagine di Dio in lui è distorta.La libertà in Dio, com'era goduta da Adamo, implica la possibilità di allontanarsi da Dio. Questa scelta sfortunata è stata compiuta dall'uomo e ha condotto Adamo (prototypos dell'uomo oramai decaduto) ad un'esistenza subumana e innaturale. L'aspetto più innaturale del nuovo stato è la morte. In questa prospettiva il "peccato originale" non è compreso come uno stato di colpa ereditato da Adamo ma come una condizione innaturale della vita umana che finisce nella morte. La mortalità è quello che ora eredita ciascun uomo dalla sua nascita e questo è quanto lo fa lottare per vivere, per auto-affermarsi a spese di altri, e, finalmente, per sottomettersi alle leggi di vita animale. Il "principe di questo mondo" (cioè Satana), Colui che fu l' "assassino dall'inizio," esercita il suo dominio sull'uomo. L'uomo è stato liberato da questo cerchio vizioso di morte e peccato dalla morte e Risurrezione di Cristo, che viene infusa nel Battesimo e nella vita sacramentale nella Chiesa.Il quadro generale della comprensione delle relazioni tra Dio e l'uomo è evidentemente diverso rispetto da quello che s'è imposto nel Cristianesimo occidentale. In Occidente s'è imposta una visione per cui la "natura" è distinta dalla "grazia" e il peccato originale consiste in una colpa ereditata invece della privazione della libertà originale. In Oriente, l'uomo è pienamente tale quando partecipa in Dio; in Occidente si pensa che la natura decaduta dell'uomo possa essere autonoma, mentre il peccato è visto come un crimine punibile e la grazia come un perdono accordato. Con questi presupposti giuridici ne consegue che lo scopo principale dell'Occidente cristiano è la giustificazione, mentre nell'Oriente è la comunione con Dio che porta alla deificazione dell'uomo. In Occidente la Chiesa è concepita in termini di mediazione (attraverso di lei giunge la grazia) e di autorità (è garante della giusta dottrina); mentre in Oriente la Chiesa è quella realtà nella quale avviene la comunione tra Dio e l'uomo, dove quest'ultimo ha modo d'incontrare Dio e di giungere ad una vera e possibile esperienza personale della vita divina in lui.
CristoLa Chiesa Ortodossa è la formale artefice della cristologia (= la dottrina su Cristo) definita dai Concili dei primi otto secoli. Insieme con la sua parte occidentale latina (il Patriarcato di Roma), ha rigettato l'arianesimo (che riteneva il Figlio una creatura rispetto al Padre) a Nicea (325), il nestorianesimo (che accentuava l'indipendenza tra la natura divina e quella umana di Cristo) a Efeso (431) e il monofisismo (che vedeva in Cristo solo la natura divina) a Calcedonia (451). Oriente e Occidente cristiano, sotto la formale tradizione cristologica, aggiunsero ulteriori considerazioni, sebbene la famosa formula calcedonese "una persona in due nature" non venisse dappertutto intesa allo stesso modo. Sulle icone romano-bizantine sono spesso dipinte attorno al volto di Cristo, delle lettere greche che equivalgono al tetragramma ebreo YHWH, nome di Dio nell'antico Testamento. In tal modo Gesù Cristo è visto nella sua identità divina. Similmente, la liturgia si rivolge spesso alla Vergine Maria come Theotokos (= Colei che ha dato nascita a Dio), e questo termine è stato ammesso come formalmente ortodosso a Efeso. Questo è l'unico dogma concernente la Santissima Genitrice di Dio accettato dalla Chiesa Ortodossa e riflette la dottrina sulla persona divina di Cristo contro Ario che la negava. La Theotokos viene così venerata perché è madre "secondo la carne" di Cristo Dio-Uomo. Tuttavia quest'enfasi sull'identità divina personale di Cristo, basata sulla dottrina di San Cirillo d'Alessandria (V secolo), non implica il rifiuto della sua umanità. L'antropologia (= la dottrina sull'uomo) dei Padri orientali non rappresenta l'uomo come un essere autonomo ma piuttosto implica quella comunione con Dio che rende l'uomo pienamente umano. Così la natura umana di Gesù Cristo, pienamente assunta dalla Parola divina (Logos), è davvero il "nuovo Adamo" nel quale tutta l'umanità riceve nuovamente la sua originale gloria. L'umanità di Cristo è pienamente "nostra"; Egli ha posseduto tutte le caratteristiche dell'essere umano. Seguendo papa Leone, il Concilio calcedonese ha proclamato a tal proposito: "Ciascuna natura (di Cristo) agisce secondo le sue proprietà senza separare se stessa dalla Parola divina [cioé dal Logos, ossia dalla persona del Figlio]". Così, la morte stessa di Cristo fu davvero una morte pienamente umana e il Figlio di Dio fu "soggetto" alla Passione. Ciò ha implicato che l'umanità di Cristo fosse davvero reale non solo per Lui ma anche per Dio, dal momento che è stato condotto a morire sulla croce, e che la salvezza e la redenzione dell'umanità potesse essere compiuta unicamente da Dio. Questo spiega la necessità divina di accondiscendere alla morte dal momento che la morte stessa ha tenuto prigioniera l'umanità.Questa teologia della redenzione e della salvezza è splendidamente espressa negli inni liturgici romano-bizantini della Settimana Santa e di Pasqua: Cristo è Colui che "ha calpestato la morte con la morte" e, la sera del Grande Venerdì (precedente la Pasqua), gl'inni liturgici cantano già vittoria. La salvezza non è concepita nei termini di una soddisfazione della giustizia divina, stabilita dal pagamento di un debito per il peccato di Adamo (come la Cristianità occidentale ha compreso ed espresso a partire dal Medioevo) ma nei termini di un'unione dell'umano con la divina vittoria della mortalità e della debolezza umana e, finalmente, esaltando l'uomo nella vita divina.Quello che Cristo ha compiuto una volta per tutte deve essere liberamente acquisito da coloro che sono "in Cristo"; il loro fine è la "deificazione" che non significa disumanizzazione ma esaltazione della dignità umana preparata per l'uomo prima della creazione. Le feste liturgiche della Trasfigurazione e dell'Ascensione sono estremamente popolari in Oriente perché celebrano precisamente l'umanità glorificata in Cristo, una glorificazione che anticipa la venuta del Regno di Dio quando Dio sarà "tutto in tutti".La partecipazione nella già deificata umanità di Cristo è la vera meta della vita cristiana, ed è compiuta attraverso lo Spirito Santo.
Lo Spirito SantoIl dono dello Spirito Santo "ha chiamato tutti gli uomini all'unità", secondo l'inno liturgico romano-bizantino della festa di Pentecoste; in quella nuova unità che San Paolo denomina il "Corpo di Cristo" nel quale entra ogni cristiano con il Battesimo e il Crisma (= la Cresima per il Cristianesimo occidentale) quando il prete unge il neofita dicendo: "Sigillo del dono dello Spirito Santo".Questo dono, comunque, richiede dall'uomo una libera risposta. I santi ortodossi come San Seraphim di Sarov (morto nel 1833) hanno descritto l'intero contenuto della vita cristiana nei termini di una "raccolta dello Spirito Santo". Lo Spirito Santo è così concepito come l'agente principale del rinnovamento dell'uomo; è Colui che, con il concorso delle altre persone trinitarie, ripristina l'originale stato naturale dell'uomo attraverso la comunione nel Corpo di Cristo. Questo ruolo dello Spirito è riflesso in una ricca varietà di atti liturgici e sacramentali. Ogni atto di culto inizia solitamente con una preghiera indirizzata allo Spirito, e tutti i Sacramenti si amministrano invocando lo stesso Spirito. Le liturgie eucaristiche dell'Oriente attribuiscono la causa della misteriosa presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrato per opera dello Spirito Santo. Il significato di quest'invocazione (epiklesis, in greco) è stato dibattuto appassionatamente tra i cristiani orientali e quelli latini nel Medioevo. Dal momento che il canone romano della Messa non riporta una chiaro riferimento allo Spirito Santo, ciò è stato considerato come insufficiente per operare il Sacramento dell'Eucarestia.A partire dal Concilio costantinopolitano del 381, che ha condannato i pneumatomachi (coloro che combattevano contro lo Spirito), nessuno nell'Oriente ortodosso ha più negato che lo Spirito non è solo un "dono" ma è pure il donatore, ossia, la terza Persona della Santa Trinità. Nel passo di Gen 1,2 i Padri greci vedevano un chiaro segno della cooperazione dello Spirito nell'atto divino della creazione; è stato pure riconosciuto il ruolo attivo dello Spirito in quella "nuova creazione" iniziata nell'utero della Vergine Maria al momento del concepimento di Cristo (Lc 1,35) . Finalmente, nella Pentecoste lo Spirito è stato compreso come Colui che anticipa gli "ultimi giorni" (Atti 2, 17) quando, alla fine della storia, sarà raggiunta una comunione universale con Dio. In tal modo, tutti gli atti decisivi di Dio sono compiuti "dal Padre nel Figlio, attraverso lo Spirito Santo".
La Santa Trinità
Dal IV secolo in poi s'è sviluppato un modo diverso nell'intendere e spiegare la Santa Trinità. Alcuni cristiani occidentali, non comprendendo bene i termini del dibattito trinitario (che allora si svolgeva prevalentemente in greco) cercarono di comprendere e spiegare la Santa Trinità come meglio potevano per difendere l'Ortodossia rivelata dagli attacchi eretici che la minavano. In Occidente l'unità di Dio è stata capita in termini di un'essenza (come d'altra parte era stato più volte affermato in Oriente) e il discorso si arrestava su questo punto. In Oriente, invece, si affermava sempre più frequentemente che l'unico Dio si rapporta con l'uomo che ne fa esperienza in termini energetici (le energie divine). Per la maggior parte dei Padri greci non era la Trinità ad aver bisogno di una prova teologica (i vangeli ne parlano chiaramente) quanto piuttosto l'unità essenziale di Dio. I Padri cappadoci (Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo e Basilio di Cesarea) per aver particolarmente insistito sull'esistenza delle persone trinitarie sono stati mal compresi e accusati di triteismo. Essi esprimevano il mistero trinitario come un'essenza in tre ipostasi (il termine greco hypostasis equivaleva in un primo tempo a quello latino di substantia e designava una realtà concreta. Di qui la confusione e la difficile comprensione tra alcuni padri latini con le definizioni patristiche greche). I teologi greci per hypostasis non intendevano substantia (cioè ousia) ma le persone trinitarie rivelate nel Nuovo Testamento: il Figlio e lo Spirito Santo, esseri distinti dal Padre.
Oggi alcuni teologi ortodossi, partendo da presupposti filosofici moderni, si soffermano a considerare le persone divine e parlano d'un "rapporto personalistico in Dio". Essi dichiarano d'aver scoperto un originale personalismo biblico, non adulterato nel suo contenuto da una speculazione filosofica posteriore. In essi, tuttavia, è carente una vera conoscenza patristica sicché, nel lodevole tentativo di comunicare il Credo ortodosso e patristico al mondo moderno, finiscono per divenire succubi di categorie filosofiche secolarizzate lontane dal modo di essere e pensare dei Padri.
Le difficoltà di comprensione teologica tra Oriente e Occidente, dovute come abbiamo visto anche da un diverso significato sotteso ai termini utilizzati, sono alla radice della famosa disputa sul Filioque. La parola latina Filioque ("e dal Figlio") è stata aggiunta al Credo in Spagna nel VI secolo. L'aggiunta in questo contesto non aveva alcun risvolto polemico e politico contro i fratelli della stessa fede, anzi, voleva assolutamente rimarcare la comunione con quanto i Concili orientali avevano affermato. L'incomprensione dei termini usati suggeriva di aggiungere la parola Filioque per salvaguardare la divinità del Figlio di fronte all'eresia adozionista che la negava. Più tardi, comunque, la questione fu ripresa dai teologi franchi sobillati da Carlomagno (IX sec.) per dei motivi sostanzialmente politici. Carlomagno, eletto a capo del Sacro Romano Impero, voleva affermare il suo legittimo dominio in Occidente e cercava ripetutamente di negare la legittimità dell'imperatore romano orientale. A tal fine si servì della questione teologica per ingaggiare una vera e propria battaglia anti-greca. L'addizione al Credo è stata rifiutata costantemente dai papi romani per dei motivi dogmatici (essi da soli non potevano né aggiungere né modificare alcunché al patrimonio di fede dell'unica Chiesa) e politici (era evidente che sotto il pretesto teologico si agitassero questioni politiche e di rottura tra Occidente e Oriente romano, cosa che i papi non potevano assolutamente accettare). Quando tra l'XI e il XII sec. Roma fu invasa dai tedeschi, essi imposero forzatamente un papa della loro etnìa a loro obbediente e debitore. Egli inserì l'addizione Filioque al Credo rifiutata dai suoi predecessori romani. Tale variazione ha fondato e giustificato una concezione occidentale della Trinità che, se non si fosse imposto un isolamento politico tra il mondo occidentale e quello orientale, avrebbe trovato la possibilità d'una correzione prima che si fissasse dogmaticamente. Nella concezione occidentale trinitaria il Padre e il Figlio sono causa dell'esistenza dello Spirito Santo.
I teologi romano-bizantini si sono opposti a tale aggiunta per diversi motivi. Prima di tutto perché, coerentemente con l'ecclesiologia del primo millennio (alla quale era fedele anche papa Leone III), il Patriarcato di Roma non aveva alcun diritto a cambiare unilateralmente un testo approvato coralmente da tutta la Chiesa. In secondo luogo perché la clausola del Filioque implicava la riduzione delle persone divine a semplici relazioni (il Padre e il Figlio sono entrambi in relazione tra loro ma unici in relazione allo Spirito). Per la teologia ortodossa e patristica il Padre è l'unico ad originare sia il Figlio che lo Spirito. Il Patriarca San Fozio (IX secolo) fu il primo teologo ortodosso a dibattere esplicitamente contro il concetto del Filioque e tale dibattito continuò polemicamente per tutto il Medioevo.
La trascendenza di Dio
Un importante elemento nel Cristianesimo indiviso ortodosso è la comprensione di Dio come totalmente trascendente e inconoscibile nella sua essenza. Perciò Dio può essere designato solo con attributi negativi: è possibile dire di Dio solo ciò che non è, non ciò che è.La teologia ortodossa puramente "apofatica" (= negativa, che procede per negazioni) applicabile unicamente all'essenza divina, non conduce all'agnosticismo perchè Dio si rivela pienamente relazionandosi con il cosmo e le creature non in termini personali (come Padre, Figlio e Spirito) ma nei suoi atti o "energie". Così la vera conoscenza di Dio include tre elementi: reverenziale timore religioso; incontro personale tra l'uomo e la presenza energetica di Dio; conseguente partecipazione agli atti, o energie, che Dio diffonde liberamente nella creazione.Questa concezione di Dio non è connessa alla personalistica comprensione del Trinità, come ritiene una certa teologia moderna dal momento che le Persone trinitarie, per i Padri, sono delle distinzioni all'interno della Trinità incomunicabili tra di loro e al mondo esterno a loro. Le persone comunicano solo attraverso la loro comune sostanza-energia. Tale prospettiva ha condotto a confermare ufficialmente la teologia di San Gregorio Palamas, esponente di spicco tra gli esicasti romano-bizantini (= monaci dedicati a praticare un'incessante preghiera nella quiete). La conferma di questa dottrina da parte della Chiesa ortodossa è avvenuta nei Concili costantinopolitani del 1341 e del 1351. I Concili hanno solennemente proclamato una reale distinzione in Dio, tra l'essenza inconoscibile e gli atti, o "energie", che rendono possibile una reale comunione con Dio. La deificazione dell'uomo, realizzata in Cristo una volta per tutte, è compiuta, così, nella comunione con l'energia divina e nell'umanità glorificata di Cristo.
Apporti teologici moderni
Fino alla sua conquista da parte dei Turchi (1453), Costantinopoli era il centro intellettuale incontestato della Chiesa Ortodossa. Lungi dall'essere monolitico, il pensiero teologico romano-bizantino fu influenzato da una corrente umanistica che favoriva l'utlizzo della filosofia greca nel modo teologico di pensare, e dalla teologia mistica più austera e classica dei circoli monastici. La preoccupazione per la conservazione della cultura greca e per la salvezza politica dell'Impero ha condotto diversi umanisti ad adottare una posizione favorevole all'unione con l'Occidente. I teologi più creativi (come ad es., Simeone il Nuovo Teologo, morto nel 1033; San Gregorio Palamas, morto nel 1359; Nicola Cabasilas, morto nel 1390) si sono piuttosto fondati nella parte monastica e hanno continuato la tradizione della spiritualità patristica basata sulla teologia della deificazione.
I secoli XVI-XVII-XVIII contrassegnano un periodo oscuro nella teologia ortodossa. Né in Medio Oriente, né nei Balcani, né in Russia emerse qualche nome o qualche teologo particolarmente significativo. Non era possibile e accessibile alcuna formale istruzione teologica, eccettuata quella che poteva venire dalle scuole cattolico-romane occidentali o da quelle protestanti. La tradizione ortodossa era primariamente conservata attraverso la liturgia, che esprimeva tutta la ricchezza patristica e spesso serviva da valido sostituto per un'istruzione formale. Asserzioni dottrinali di questo periodo, venivano emesse da Concili locali e da individuali teologi che si esprimevano in polemici documenti diretti contro l'aggressiva opera missionaria occidentale
Dopo le riforme di Pietro il Grande (morto nel 1725), si organizzò in Russia un sistema scolastico teologico. Plasmato originalmente secondo i modelli latini Occidentali, tale sistema era fornito di insegnanti gesuiti ucraini. La scuola sviluppata nel XIX secolo era pienamente indipendente e forniva potenti mezzi d'istruzione teologica. L'impostazione intellettualistica occidentale contrastava, però, con l'identità profonda dell'Ortodossia che, prima di toccare l'intelletto e di esercitare in dissertazioni filosofiche richiedeva la prassi ascetica. La fioritura dell'esicasmo russo avenne per opera di Paisios Velitchkovsky di Moldavia (morto nel 1817) e dei suoi discepoli. Essi tornarono a fornire alla Russia quei mezzi che l'Ortodossia aveva sempre ritenuto indispensabili per una vera attività teologica. I secoli XIX e XX hanno prodotto molti studiosi, specialmente nel campo storico (ad es., Philaret Drozdov, morto nel 1867; V.O. Klyuchevsky, morto nel 1913; V.V. Bolotov, morto nel 1900; E.E. Golubinsky, morto nel 1912; N.N. Glubokovsky, morto nel 1937). Indipendenteménte delle scuole teologiche ufficiali una discreta quantità di laici sono stati alla base di vere e proprie correnti teologiche e filosofiche e hanno esercitato (con risultati più o meno positivi) una grande influenza nella moderna teologia ortodossa (ad es. A.S. Khomyakov, morto 1860; V.S. Solovyev, morto 1900; N. Berdyayev, morto 1948). Alcuni di essi sono divenuti preti (P. Florensky, morto nel 1943; S. Bulgakov, morto nel 1944). Un gran numero dell'intelligentzia teologica russa (ad es. S. Bulgakov, G. Florovsky) è emigrata nell'Europa occidentale dopo la Rivoluzione russa (1917) e ha giocato un ruolo importante nel movimento ecumenico.
Con l'indipendenza dei Balcani dalla turcocrazia sono state create delle scuole teologiche anche in Grecia, Serbia, Bulgaria e Romania. Moderni studiosi greci hanno pubblicazione importanti testi ecclesiastici romano-bizantini e scritto molti manuali teologici.
La diaspora ortodossa (il flusso migratorio delle popolazioni del Medio Oriente e dell'Europa Orientale) nel XX secolo ha contribuito all'instaurarsi di uno sviluppo teologico in centri teologici situati in Europa Occidentale e in America.
La Chiesa Ortodossa ha reagito negativamente ai nuovi dogmi proclamati da papa Pio IX: l'Immacolata Concezione della SS. Vergine Maria (1854) e l'infallibilità papale (1870). Riguardo al dogma dell'Assunzione in Cielo della SS. Vergine Maria, proclamato da papa Pio XII (1950), le obiezioni toccavano principalmente la non opportunità di elevare a dogma questo tipo di tradizione.
In contrasto con la recente moda generale del pensiero occidentale cristiano che sottolinea molto l'impegno sociale, i teologi ortodossi sottolineano generalmente che la fede cristiana è primariamente un'esperienza diretta del Regno di Dio, dono sacramentale che avviene nella chiesa. Senza negare che i cristiani hanno una responsabilità sociale nel mondo, considerano questa responsabilità come una conseguenza della vita in Cristo. Questa posizione tradizionale è testimoniata dalla straordinaria sopravvivenza delle Chiese Ortodosse sotto le più contraddittorie e sfavorevoli condizioni sociali. Tuttavia, agli occhi occidentali, tutto ciò appare come una forma di passivo fatalismo.
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